Dismenorrea in adolescenza: cause, sintomi e rimedi per il ciclo doloroso
Scopri cos’è la dismenorrea in adolescenza, le principali cause dei dolori mestruali forti e i rimedi più efficaci per un ciclo meno doloroso.
La dismenorrea in adolescenza è una condizione molto comune, ma spesso sottovalutata. Molte ragazze nei primi anni dopo il menarca riferiscono dolori mestruali forti che interferiscono con la vita quotidiana. Pur essendo frequente, il ciclo mestruale doloroso non va considerato “normale” o inevitabile: rappresenta invece un segnale da ascoltare e valutare con attenzione.
Dal punto di vista medico, si distinguono due forme di dismenorrea: la dismenorrea primaria, che non è legata a patologie ginecologiche, e la dismenorrea secondaria, che può invece essere dovuta a condizioni come l’endometriosi, l’adenomiosi, le malformazioni uterine o altre cause organiche. La forma primaria è tipica delle adolescenti e compare solitamente entro uno o due anni dal menarca.
Il dolore mestruale è provocato da un’eccessiva produzione di prostaglandine, sostanze che determinano diverse attività nel nostro corpo come contrazioni uterine più intense ed in generale dolore pelvico cronico. Questo meccanismo provoca crampi pelvici di varia intensità, spesso associati a nausea, mal di testa, stanchezza o disturbi intestinali. Nella maggior parte dei casi il dolore compare poche ore prima del flusso e si attenua entro due o tre giorni.
È importante non ignorare un dolore che si ripete ogni mese, peggiora col tempo o non risponde ai comuni analgesici. In questi casi è opportuno rivolgersi al ginecologo specialista in dolore pelvico cronico per escludere una dismenorrea secondaria, come quella causata da endometriosi in età adolescenziale, condizione oggi riconosciuta sempre più spesso anche nelle giovanissime. Una diagnosi precoce è fondamentale per trattare efficacemente la malattia e prevenire conseguenze future sulla fertilità e sulla qualità di vita.
La terapia della dismenorrea va sempre personalizzata. Nelle forme lievi o moderate, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) rappresentano il trattamento di prima scelta, soprattutto se assunti all’esordio dei sintomi. Quando il dolore è più intenso o recidivante, può essere indicata una terapia ormonale che regola il ciclo e riduce la produzione di prostaglandine. Anche lo stile di vita gioca un ruolo importante: attività fisica regolare, dieta equilibrata, sonno adeguato e riduzione dello stress contribuiscono a migliorare la tolleranza al dolore e l’equilibrio ormonale.
La dismenorrea non deve mai essere considerata un destino inevitabile. Parlarne apertamente con un ginecologo esperto permette di individuare la causa, impostare la terapia più adatta e aiutare le adolescenti a vivere il ciclo mestruale con maggiore consapevolezza e serenità. Riconoscere e trattare precocemente la dismenorrea adolescenziale significa anche prevenire la cronicizzazione del dolore e migliorare il benessere futuro della donna.
Endometriosi e alimentazione: cosa possiamo davvero fare a tavola
Sempre più spesso si parla di alimentazione come possibile alleata per chi soffre di endometriosi. Non esistono diete miracolose, ma è ormai chiaro che quello che mangiamo può influenzare il modo in cui il corpo reagisce all’infiammazione e al dolore.
L’endometriosi è una malattia complessa che provoca dolore, infiammazione cronica e spesso difficoltà legate alla fertilità. È una condizione che coinvolge tutto l’organismo, e per questo anche lo stile di vita e l’alimentazione possono avere un ruolo nel migliorare il benessere generale.
Molte ricerche suggeriscono che un’alimentazione “anti-infiammatoria” possa aiutare a ridurre alcuni sintomi. Cosa significa in concreto? Privilegiare cibi freschi, ricchi di antiossidanti e grassi buoni — come frutta, verdura, pesce azzurro, noci, semi e olio extravergine d’oliva — e ridurre invece zuccheri raffinati, cibi industriali e grassi saturi.
Un’altra attenzione utile riguarda il consumo di carne rossa e latticini, che in alcune donne possono accentuare i disturbi. Invece, aumentare il consumo di cereali integrali e legumi può migliorare la regolarità intestinale e contribuire al controllo dell’infiammazione.
Molte pazienti trovano beneficio anche riducendo il glutine o gli alimenti che favoriscono gonfiore e fermentazione intestinale, ma ogni corpo reagisce in modo diverso: per questo è importante evitare estremismi e farsi guidare da un professionista della nutrizione.
Non si tratta quindi di “curare” l’endometriosi con la dieta, ma di sostenere il corpo, ridurre l’infiammazione e migliorare la qualità della vita. Un’alimentazione equilibrata, insieme alle terapie mediche e a un adeguato supporto psicologico, può davvero fare la differenza nel lungo periodo.
In fondo, prendersi cura di sé parte anche da gesti quotidiani semplici — come scegliere cosa mettere nel piatto, con consapevolezza e gentilezza verso il proprio corpo.
HPV test, un piccolo controllo per una grande protezione
Il tumore del collo dell’utero, purtroppo, è ancora oggi una delle forme di tumore più diffuse tra le donne, ma la buona notizia è che, se diagnosticato in tempo, può essere prevenuto o trattato con grande successo. La parola chiave qui è screening: controlli regolari che ci permettono di individuare eventuali alterazioni prima che diventino un problema serio.
Ma cosa significa realmente fare uno screening? Per le donne, gli strumenti principali sono due: il Pap test e l’HPV test. Il Pap test, conosciuto anche come striscio cervicale, serve a rilevare cellule anomale nel collo dell’utero, mentre l’HPV test individua la presenza del virus HPV ad alto rischio, principale responsabile dello sviluppo di questo tipo di tumore. Negli ultimi anni, le linee guida hanno spostato l’attenzione sempre più sull’HPV test come metodo di screening primario, soprattutto nelle donne dai 30 anni in su, perché permette di identificare il rischio con maggiore precisione.
Lo screening non è solo un esame: è un gesto di cura verso se stesse. La frequenza consigliata varia in base all’età e ai risultati degli esami precedenti, ma in generale si consiglia alle donne dai 25 anni in su di sottoporsi a controlli regolari, anche se non si hanno sintomi. Questo perché il tumore del collo dell’utero può svilupparsi silenziosamente, senza dare segnali evidenti.
La frequenza del HPV test dipende dall’età della donna e dai risultati dei controlli precedenti. Ecco le linee guida più aggiornate, valide in Italia e in gran parte dei paesi europei:
Donne 25-29 anni:
Lo screening primario resta generalmente il Pap test ogni 3 anni.
L’HPV test può essere considerato in casi particolari, ma di solito non è il primo strumento in questa fascia d’età.
Donne 30-64 anni:
L’HPV test è lo screening principale, con Pap test come test riflesso se l’HPV risulta positivo.
La frequenza consigliata è ogni 5 anni se l’HPV è negativo.
Dopo i 65 anni:
Se gli screening precedenti erano regolari e negativi, di solito non è necessario continuare.
In caso di risultati anomali passati, può essere consigliata la prosecuzione.
Molte donne si chiedono se sia doloroso o invasivo. In realtà, il Pap test e l’HPV test sono esami rapidi, eseguiti in pochi minuti, e spesso il fastidio è minimo. Il vero fastidio sarebbe dover affrontare una malattia che si sarebbe potuta prevenire.
Infine, è importante ricordare che lo screening è efficace solo se fatto regolarmente e combinato con altre misure di prevenzione, come la vaccinazione contro l’HPV, che protegge le ragazze e i ragazzi ancora prima dell’inizio dell’attività sessuale.
La chirurgia V-NOTES: meno cicatrici e meno dolore
Negli ultimi anni la chirurgia ginecologica ha fatto passi enormi verso interventi sempre meno invasivi e più rispettosi del corpo femminile. Tra le innovazioni più interessanti c’è la chirurgia V-NOTES, una tecnica che unisce i vantaggi della laparoscopia e dell’approccio vaginale, permettendo di operare senza tagli sull’addome.
V-NOTES significa Vaginal Natural Orifice Transluminal Endoscopic Surgery e indica una modalità chirurgica che sfrutta una via naturale, la vagina, per accedere alla cavità addominale utilizzando strumenti laparoscopici di ultima generazione. In questo modo il chirurgo può lavorare con una visione ad alta definizione e con la stessa precisione della laparoscopia tradizionale, ma senza dover praticare incisioni visibili sulla pelle.
Per la paziente questo si traduce in un recupero più rapido, in meno dolore dopo l’intervento e nell’assenza di cicatrici addominali. Il rischio di infezioni e di aderenze è ridotto e il ritorno alle attività quotidiane avviene in tempi molto brevi. È un approccio che unisce efficacia e delicatezza, ideale per molte donne che desiderano un intervento meno traumatico e più rispettoso del proprio corpo.
La tecnica V-NOTES può essere utilizzata per diversi tipi di interventi, come l’asportazione dell’utero, di cisti ovariche o delle tube, oppure per la correzione di alcune forme di prolasso. Ovviamente ogni situazione va valutata con attenzione e l’indicazione viene sempre personalizzata in base alle caratteristiche della paziente e alla sua storia clinica.
La chirurgia mini-invasiva non è solo una questione di tecnologia ma anche di filosofia: è un modo nuovo di prendersi cura della salute femminile, riducendo il trauma e migliorando il benessere globale della donna. Meno dolore e recupero post-operatorio più veloce.
A cura del dott. Stefano Scarperi, ginecologo a Verona, esperto in chirurgia mini-invasiva e robotica.
Radiofrequenza un trattamento moderno per fibromi e adenomiosi
Ci sono donne che convivono per anni con dolori, flussi abbondanti e quella sensazione di peso al basso ventre che non dà tregua. Spesso dietro questi disturbi si nascondono fibromi o adenomiosi, due condizioni molto diffuse che fino a poco tempo fa richiedevano quasi sempre interventi chirurgici più o meno invasivi. Oggi però esiste una possibilità diversa, più delicata e rispettosa del corpo: la termoablazione a radiofrequenza.
La radiofrequenza è una tecnologia che utilizza il calore per ridurre il tessuto malato. Attraverso un sottile ago, guidato da ecografia o laparoscopia, si raggiunge in modo preciso il fibroma o l’area di adenomiosi. Lì viene emessa una piccola quantità di energia termica che in pratica “disattiva” la lesione dall’interno, permettendole nel tempo di ridursi di volume. È un trattamento mirato, che colpisce solo ciò che serve, lasciando intatti i tessuti sani e senza dover ricorrere a tagli o rimozioni estese.
L’intervento è rapido e poco doloroso che richiede un ricovero di un giorno. La paziente al rientro a casa nel giro di pochi giorni, può riprendere le sue attività abituali. Non ci sono cicatrici visibili, il recupero è dolce e i sintomi migliorano progressivamente nelle settimane successive.
Per molte donne la radiofrequenza rappresenta un cambiamento importante. Permette di preservare l’utero, evitare interventi più impegnativi come l’isterectomia. È un modo diverso di curare, più rispettoso, che unisce la precisione della tecnologia all’attenzione per il benessere femminile.
La medicina moderna sta andando sempre più in questa direzione: trattamenti efficaci ma conservativi, capaci di risolvere il problema senza in maniera mini-invasiva. La radiofrequenza è uno di questi passi avanti, e per molte donne può diventare la chiave per ridurre i sintomi legati ai fibromi o all’adenomiosi.
Endometriosi e progesterone
Quando si parla di endometriosi si entra in un mondo complesso e spesso doloroso che riguarda moltissime donne. Questa malattia cronica si verifica quando il tessuto simile all’endometrio, cioè quello che riveste l’interno dell’utero, cresce in sedi anomale come ovaie, tube o peritoneo. Il risultato è infiammazione, dolore, talvolta difficoltà a concepire e, soprattutto, un impatto sulla qualità della vita.
Tra le possibili strategie di cura un ruolo importante lo hanno i farmaci a base di progestinici. Questi ormoni, che imitano l’azione del progesterone naturale, lavorano rallentando la crescita del tessuto endometriosico e riducendo l’infiammazione. In parole semplici, mettono i focolai della malattia in una sorta di “riposo ormonale”, alleviando i sintomi e diminuendo il dolore.
La terapia progestinica può essere assunta principalmente in diverse forme: compresse oppuredispositivi intrauterini medicati. La scelta dipende dal tipo di endometriosi, dalla storia clinica della donna e anche dalle sue preferenze. Non si tratta di una cura definitiva – perché ad oggi l’endometriosi non ha una guarigione certa – ma di un approccio che può rendere la vita molto più gestibile.
Molte donne trovano beneficio già dopo pochi mesi, anche se ogni organismo risponde in maniera diversa. Come tutti i farmaci, i progestinici possono avere effetti collaterali, come spotting, ritenzione idrica o cambiamenti dell’umore, che però non colpiscono tutte e che spesso tendono ad attenuarsi nel tempo.
L’aspetto più importante è che la terapia non va vista come una regola unica e valida per tutte, ma come parte di un percorso personalizzato che deve tenere conto della singola donna, dei suoi sintomi, dei suoi progetti di vita e del suo desiderio di gravidanza. Parlare con il proprio ginecologo, chiarire dubbi e trovare insieme la strategia migliore è sempre il primo passo.
Quando il ciclo non è solo ciclo: parliamo di endometriosi
L’endometriosi è una di quelle condizioni che tante donne conoscono, spesso sulla propria pelle, ma di cui ancora si parla troppo poco. In parole semplici, succede quando il tessuto che normalmente dovrebbe trovarsi solo all’interno dell’utero cresce in altre sedi, come le ovaie, le tube, l’intestino, la vescica ed il peritoneo cioè la membrana che riveste gli organi del bacino. Questo tessuto, pur essendo “fuori posto”, continua a comportarsi come farebbe durante il ciclo: si ispessisce, sanguina e scatena infiammazione.
Il risultato? Dolori mestruali molto forti, dolore durante i rapporti, fastidi pelvici che possono durare anche tutto il mese, difficoltà nella ricerca di una gravidanza. Ci sono donne che convivono con disturbi lievi e altre per cui i sintomi diventano davvero invalidanti, tanto da influenzare il lavoro, la vita sociale e la serenità quotidiana.
Le cause precise non sono ancora del tutto chiare: sappiamo che c’è una componente ormonale e probabilmente anche genetica, e che l’endometriosi non è affatto rara. Colpisce donne giovani e adulte, spesso proprio nel pieno della loro vita personale, di formazione scolastica e professionale.
Arrivare alla diagnosi può richiedere tempo, perché i sintomi a volte vengono confusi con un ciclo “semplicemente doloroso” o con altri disturbi intestinali e urinari. Oggi però disponiamo di strumenti molto utili, a partire dall’ecografia ginecologica fatta da mani esperte, che permette di riconoscere le forme più tipiche. In alcuni casi si ricorre alla risonanza magnetica o, se serve, alla laparoscopia, che è anche un’opzione terapeutica.
Le possibilità di trattamento sono diverse e vanno calibrate in base all’età, ai desideri di gravidanza e all’intensità dei sintomi. Ci sono terapie mediche che aiutano a controllare dolore e progressione della malattia, dispositivi ormonali, ma anche tecniche chirurgiche mini-invasive come la chirurgia laparoscopica e robotica pensate per rimuovere le lesioni mantenendo quanto più possibile la fertilità.
Vivere con l’endometriosi può essere una sfida, ma non significa rassegnarsi a soffrire. La diagnosi precoce e la cura personalizzata fanno davvero la differenza. Raccontare i propri sintomi senza paura, cercare ascolto e affidarsi a un ginecologo che conosca bene la malattia sono i primi passi per ritrovare benessere e serenità.
Un fibroma non fa paura…
I fibromi uterini sono molto più comuni di quanto si immagini e spesso vengono scoperti per caso durante un’ecografia di controllo e la prima reazione è quasi sempre la stessa cioè chiedersi se bisogna preoccuparsi. Nella maggior parte dei casi la risposta è no perché i fibromi sono formazioni benigne che crescono all’interno o all’esterno dell’utero e non hanno nulla a che vedere con i tumori maligni. Anche se la parola può spaventare non esiste una causa precisa ma sappiamo che la loro crescita è legata agli ormoni femminili ed è per questo che tendono a svilupparsi negli anni fertili e spesso si riducono spontaneamente dopo la menopausa. Non tutti i fibromi sono uguali perché alcuni crescono dentro la cavità uterina e possono provocare sanguinamenti abbondanti o difficoltà a concepire altri si sviluppano nello spessore della parete dell’utero dando più che altro disturbi legati al volume e altri ancora rimangono all’esterno senza quasi farsi notare. Molti fibromi restano silenziosi mentre altri possono farsi sentire con cicli mestruali molto abbondanti e prolungati anemia stanchezza dolori o senso di peso al basso ventre, pancia gonfia, disturbi urinari o intestinali o difficoltà legate alla gravidanza o al concepimento. La diagnosi si esegue solitamente con un’ecografia ginecologica che è semplice e indolore e solo in alcuni casi particolari serve una risonanza magnetica. Una volta scoperto un fibroma non esiste un percorso unico perché dipende dall’età dai sintomi dal desiderio di gravidanza e dalla sua dimensione. A volte basta solo controllarlo nel tempo altre volte si possono usare farmaci che aiutano a ridurre i disturbi e quando serve si può valutare un intervento chirurgico che oggi nella maggior parte dei casi è mini invasivo e con recupero rapido. Avere un fibroma non significa dover affrontare per forza un intervento né avere qualcosa di grave ma è una condizione molto diffusa che si può affrontare con serenità. La cosa più importante è parlarne con il proprio ginecologo per trovare insieme la soluzione più adatta alla propria storia
Adenomiosi: quando l’utero “parla” attraverso i sintomi.
L’adenomiosi è una condizione di cui spesso si parla poco, ma che può avere un impatto molto concreto sulla vita quotidiana. Si tratta di una situazione in cui il tessuto che normalmente riveste l’interno dell’utero, l’endometrio, si sviluppa anche all’interno della parete muscolare dell’utero stesso. Questo fa sì che l’utero possa diventare più grande e che compaiano disturbi che non è raro confondere con altri problemi ginecologici.
Molte donne convivono con l’adenomiosi senza saperlo, perché i sintomi non sempre sono evidenti. In altri casi, invece, il dolore mestruale è molto intenso, le mestruazioni diventano abbondanti, compare un senso di pesantezza pelvica o dolori che durano anche al di fuori del ciclo. A volte i rapporti sessuali risultano fastidiosi o dolorosi e può capitare che la ricerca di una gravidanza richieda più tempo del previsto.
Le cause precise non sono ancora del tutto note, ma sappiamo che l’adenomiosi è più frequente nelle donne in età compresa tra i 35 e i 50 anni.. Gli ormoni femminili, in particolare gli estrogeni, sembrano giocare un ruolo importante nello sviluppo di questa condizione.
La diagnosi inizia sempre dall’ascolto dei sintomi e da una visita ginecologica accurata. Oggi l’ecografia transvaginale è l’esame di riferimento per riconoscerla e, nei casi in cui servano ulteriori conferme, la risonanza magnetica può dare informazioni aggiuntive.
Una volta fatta la diagnosi, il percorso di cura viene costruito su misura. Non esiste una soluzione unica per tutte: molto dipende dall’intensità dei sintomi, dall’età e dal desiderio di maternità. Ci sono terapie farmacologiche che aiutano a ridurre il dolore e il flusso mestruale, dispositivi intrauterini a rilascio di progesterone che possono essere molto utili, trattamenti mini-invasivi come la termoablazione mediante radiofrequenza (RFA) o gli ultrasuoni focalizzati (MRgFUS) e, nei casi più complessi, interventi chirurgici che vanno da quelli conservativi fino all’asportazione dell’utero, scelta che viene proposta solo a chi ha già completato il proprio progetto riproduttivo.
Con l’approccio giusto, però, è possibile convivere bene con l’adenomiosi e migliorare significativamente la qualità della vita. Per questo è importante non trascurare i sintomi e rivolgersi a un ginecologo di fiducia, che sappia accompagnare passo dopo passo nella gestione di questa condizione.
Progetto “SavetheUterus”
Tutto inizia con un'idea.
Ti illustro il progetto “SavetheUterus” per le pazienti affette da fibromi uterini ed adenomiosi. Questo progetto nasce dall’impegno di dotarsi all’interno della Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona di tutte le tecnologie attualmente esistenti per il trattamento ultramini-invasivo dei fibromi e lo sviluppo delle relative competenze per utilizzarle: MRgFUS (ablazione mediante l’uso di ultrasuoni sotto guida della risonanza magnetica), termoablazione mediante radiofrequenze e microonde, embolizzazione delle arterie uterine oltre che asportazione chirurgica laparoscopica dei fibromi uterini.
L’ultima arrivata è la “MRgFUS” una tecnica che usa gli ultrasuoni: questi vengono indirizzati direttamente nella zona da trattare con una precisione al decimo di millimetro. L’intervento viene eseguito in paziente sveglia sotto la guida della risonanza magnetica non produce cicatrici e non richiede ospedalizzazione. Gli ultrasuoni “bombardano” i fibromi uterini e ne inducono la necrosi, cioè la morte dei tessuti, che avviene nell’arco di un paio di mesi.
La termoablazione mediante radiofrequenza “RFA” si base sull’inserimento sotto visione laparoscopica (due o tre incisioni di 5 millimetri sulla cute dell’addome) di un ago all’interno del fibroma in grado di aumentare la temperatura del tessuto da trattare con precisione a 98° per un tempo di pochi minuti. Anche in questo caso il danno termico prodotto determina una graduale trasformazione in tessuto fibroso inerte dal punto di vista biologico.
Infine l’embolizzazione delle arterie uterine (EAU) è una procedura chirurgica minimamente invasiva che viene utilizzata per trattare sia gli uteri di volume aumentato per fibromatosi o adenomiosi. L’embolizzazione delle arterie uterine ha lo scopo di bloccare il flusso sanguigno all’interno dei vasi che portano sangue all’utero riducendo quindi il volume ed i sintomi dell’adenomiosi. Viene effettuata da un radiologo interventista dedicato che opera consultandosi con il ginecologo. L’intervento si esegue in anestesia locale eseguita a livello inguinale per permettere l’introduzione di un microcatetere (un tubicino del calibro di un ago da puntura intramuscolare) che viene fatto avanzare fino alle arterie uterine sotto controllo radiografico.
Ovviamente nei casi non candidabili per le tecniche descritte in precedenza l’asportazione chirurgica dei fibromi viene eseguita generalmente per via laparoscopica attraverso accessi da 5 mm sulla cute.