Sacropessi: la chirurgia che restituisce sostegno e qualità di vita nel prolasso
La sacropessi è una delle tecniche più efficaci e moderne per correggere il prolasso degli organi pelvici, ripristinando in modo sicuro e duraturo il corretto sostegno della vagina o dell’utero. Grazie all’approccio mini-invasivo laparoscopico o robotico, l’intervento offre un recupero rapido, meno dolore e risultati anatomici eccellenti, migliorando significativamente la qualità di vita e il benessere intimo delle pazienti.
Il prolasso degli organi pelvici è una condizione molto più comune di quanto si pensi: può comparire dopo gravidanze, parti difficili, interventi ginecologici, predisposizione familiare o semplicemente con il passare del tempo. Quando il pavimento pelvico perde tono e sostegno, la vagina, l’utero, la vescica o il retto possono scendere e dare una sensazione di peso, gonfiore, difficoltà nella minzione o nei rapporti, limitando la qualità di vita in modo significativo. Per molte donne rappresenta un disagio intimo di cui è difficile parlare, ma per cui oggi esistono soluzioni altamente efficaci e mini-invasive.
La sacropessi è una delle tecniche chirurgiche più moderne e affidabili per trattare il prolasso, soprattutto quando è presente un cedimento importante del supporto vaginale o uterino. Consiste nel ripristinare l’anatomia originaria sospendendo la vagina o il collo dell’utero a un punto stabile e robusto, il promontorio sacrale, utilizzando una rete sintetica morbida e altamente biocompatibile. Questa rete non “sorregge” in modo passivo, ma funziona come un nuovo legamento capace di restituire alla struttura pelvica la sua posizione fisiologica e duratura nel tempo.
La procedura viene eseguita oggi quasi esclusivamente con tecniche mini-invasive, come la laparoscopia o la chirurgia robotica, che permettono una visione ingrandita e precisa del pavimento pelvico e garantiscono un trauma minimo ai tessuti. Le pazienti sperimentano solitamente un dolore molto ridotto, una degenza breve e un ritorno rapido alle normali attività, mentre l’efficacia nel prevenire recidive è tra le più alte in chirurgia ricostruttiva pelvica. Rispetto agli approcci vaginali tradizionali, la sacropessi consente spesso un migliore mantenimento della lunghezza vaginale, una sensazione più naturale durante i rapporti e una stabilità anatomica superiore.
Naturalmente, la scelta dell’intervento richiede sempre una valutazione personalizzata. Non tutte le forme di prolasso sono uguali e non tutte necessitano della stessa chirurgia. Per questo un inquadramento accurato, che unisca esame clinico, ecografia dinamica del pavimento pelvico e un dialogo attento con la paziente, è fondamentale per stabilire quale tecnica offrirà il miglior equilibrio tra efficacia, sicurezza e aspettative individuali.
La sacropessi rappresenta oggi una delle soluzioni più eleganti e durature per correggere il prolasso e restituire comfort, funzionalità e serenità. È un intervento che non si limita a “tirare su ciò che è sceso”, ma ricostruisce il sostegno profondo con cui il corpo dovrebbe sempre funzionare. Per molte donne significa tornare a muoversi, lavorare, ridere e vivere la propria intimità senza quel peso costante che il prolasso porta con sé. Eseguo frequentemente questa procedura, sia in laparoscopica sia in chirurgia robotica con una casistica personale di oltre 200 interventi.
Zero cicatrici, massima precisione: cos’è la V-NOTES
L’isterectomia V-NOTES permette di rimuovere l’utero senza incisioni e senza cicatrici visibili. Una chirurgia mini-invasiva con recupero rapido e meno dolore.
Negli ultimi anni la chirurgia ginecologica ha compiuto passi avanti straordinari, avvicinandosi sempre di più all’obiettivo di essere sicura e il meno invasiva possibile. Tra le tecniche che meglio incarnano questa evoluzione c’è l’isterectomia V-NOTES, una procedura che combina i vantaggi della chirurgia vaginale con quelli della laparoscopia, offrendo alle pazienti un recupero rapido e un’esperienza operatoria generalmente più confortevole.
V-NOTES è l’acronimo di “Vaginal Natural Orifice Transluminal Endoscopic Surgery” e descrive una tecnica che utilizza un accesso naturale, la vagina, per introdurre una piattaforma laparoscopica e completare l’intervento senza incisioni addominali. Il risultato è una chirurgia estremamente pulita, raffinata e rispettosa dei tessuti, ideale per molte donne che necessitano di rimozione dell’utero per patologie benigne come fibromi, sanguinamenti anomali o adenomiosi.
L’assenza di tagli sulla parete addominale è uno degli elementi che rendono la V-NOTES interessante sia dal punto di vista estetico sia da quello funzionale. Significa meno dolore post-operatorio, minore necessità di analgesici, riduzione del rischio di infezioni della ferita e deiscenze, e una ripresa della mobilità più rapida. Molte pazienti riferiscono di riuscire a muoversi con maggiore libertà già poche ore dopo l’intervento e di tornare a una vita attiva in tempi significativamente più brevi rispetto agli approcci tradizionali.
Dal punto di vista chirurgico, la tecnica offre un’eccellente visione endoscopica del piano pelvico, consentendo una dissezione accurata e controllata. Questo è particolarmente importante in presenza di aderenze, fibromi voluminosi o uteri molto retroversi, condizioni in cui l’approccio vaginale puro potrebbe risultare più complesso. Grazie all’endoscopia, il chirurgo può lavorare in modo più preciso e sicuro, mantenendo al tempo stesso tutti i vantaggi dell’accesso naturale.
Naturalmente non tutte le pazienti sono candidate ideali per la V-NOTES: la valutazione preoperatoria resta fondamentale per stabilire il miglior approccio in base alla storia clinica, alla conformazione anatomica e alla presenza di eventuali patologie associate. Tuttavia, nei casi appropriati, questa tecnica rappresenta una vera opportunità per offrire una chirurgia meno invasiva, con un impatto minimo sulla qualità di vita.
L’isterectomia V-NOTES non è soltanto un esercizio di abilità tecnica, ma un modo nuovo di interpretare la chirurgia ginecologica, ponendo al centro la persona, il suo comfort e la sua esperienza globale. In un’epoca in cui sempre più donne cercano soluzioni moderne, gentili e basate sull’evidenza, questa tecnica si inserisce perfettamente nel percorso di innovazione che sta trasformando la ginecologia in una disciplina sempre più attenta al benessere globale della paziente.
Ziwig Endotest®: il test salivare per l’endometriosi
Negli ultimi anni si sta parlando sempre di più dello Ziwig Endotest®, un test salivare che promette di rivoluzionare il percorso diagnostico dell’endometriosi e ridurre quei lunghi tempi di attesa che molte donne conoscono fin troppo bene. Ciò che colpisce subito è la sua semplicità: niente aghi, niente procedure invasive, solo un campione di saliva da cui vengono estratti e analizzati particolari frammenti biologici chiamati micro-RNA. Queste minuscole molecole, quando osservate nel loro insieme, possono raccontare molto dello stato dell’organismo e alcune di esse sembrano essere alterate nelle donne affette da endometriosi. L’Endotest utilizza tecnologie avanzate di sequenziamento e algoritmi di intelligenza artificiale per interpretare questi segnali e restituire un risultato chiaro, positivo o negativo. Non è un test predittivo e non sostituisce una visita ginecologica o gli esami come ecografie e risonanze, ma può accelerare enormemente il cammino verso una diagnosi, soprattutto quando i sintomi ci sono ma gli esami tradizionali non riescono a dare risposte. È pensato per donne che convivono con dolori pelvici, mestruazioni dolorose, fastidi durante i rapporti o sintomi cronici poco spiegati, e spesso diventa un punto di svolta quando tutto il resto appare confuso. Naturalmente, anche con un Endotest positivo è necessario approfondire con ulteriori visite ed esami, ma la differenza sta nel partire da un’indicazione forte, basata su un profilo biologico ormai ben studiato. Per molte donne significa finalmente sentirsi credute, avere una direzione chiara e ridurre il senso di incertezza che accompagna il percorso diagnostico dell’endometriosi. E, sebbene non rappresenti la soluzione definitiva, questo test potrebbe davvero essere uno dei passi più importanti verso un approccio più rapido, più umano e più accurato a una malattia spesso invisibile.
“Chirurgia robotica in ginecologia: mani umane, precisione da robot”
All’Ospedale di Borgo Trento la chirurgia ginecologica entra in una nuova era grazie al robot Da Vinci. Una tecnologia che unisce la precisione meccanica alla sensibilità del chirurgo, offrendo interventi meno invasivi, tempi di recupero più rapidi e risultati sempre più rispettosi del corpo femminile.
Negli ultimi anni la chirurgia ginecologica ha fatto un enorme passo avanti grazie all’introduzione della chirurgia robotica, una tecnologia che consente interventi sempre più precisi e meno invasivi.
Presso l’Ospedale di Borgo Trento di Verona è oggi possibile eseguire numerosi interventi ginecologici utilizzando il sistema robotico Da Vinci, il più evoluto strumento al mondo per la chirurgia mininvasiva.
La chirurgia robotica non sostituisce il chirurgo: al contrario, ne amplifica la precisione e il controllo. Il sistema Da Vinci è composto da una console di comando, da cui il chirurgo guida i bracci robotici, e da una telecamera tridimensionale ad alta definizione che restituisce una visione ingrandita del campo operatorio.
Ogni movimento delle mani del chirurgo viene tradotto in gesti micrometrici, filtrando i tremori naturali e permettendo manovre estremamente delicate anche in spazi anatomici ristretti.
In ginecologia, la chirurgia robotica trova applicazione in interventi complessi tra i quali l’isterectomia (rimozione dell’utero) per patologia benigne e maligne, il trattamento dell’endometriosi profonda con eventuale chirurgia intestinale ed ureterale, correzione di prolasso utero-vaginale.
L’obiettivo è quello di offrire massima precisione chirurgica, riducendo al minimo il trauma per i tessuti circostanti. Per la paziente questo si traduce in minore dolore post-operatorio, ricoveri più brevi, cicatrici ridotte e un ritorno più rapido alla vita quotidiana.
L’esperienza maturata a Borgo Trento dimostra come l’uso del robot Da Vinci rappresenti una vera evoluzione nel trattamento delle patologie ginecologiche, soprattutto in casi che richiedono un’elevata accuratezza anatomica.
Naturalmente, la chirurgia robotica richiede un team dedicato e una formazione specifica. Ogni procedura è eseguita da chirurghi ginecologi addestrati e certificati all’uso del sistema Da Vinci, con l’obiettivo di garantire la massima sicurezza e i migliori risultati clinici possibili.
Il futuro della chirurgia ginecologica è quindi già realtà:
a Borgo Trento, la tecnologia robotica si unisce all’esperienza del chirurgo per offrire alle donne interventi più sicuri, personalizzati e rispettosi del loro corpo.
Un passo concreto verso una medicina sempre più precisa, umana e innovativa.
Ryeqo e trattamento dell’endometriosi: una nuova terapia per il dolore pelvico e la qualità di vita
Ryeqo è una nuova terapia orale per l’endometriosi che riduce dolore pelvico e infiammazione, mantenendo l’equilibrio ormonale e la salute ossea.
Ryeqo è un nuovo trattamento orale per l’endometriosi che riduce il dolore pelvico e preserva l’equilibrio ormonale. Scopri come funziona e per chi è indicato.
Cos’è l’endometriosi e perché causa dolore
L’endometriosi è una malattia cronica femminile in cui tessuto simile a quello che riveste l’interno dell’utero (endometrio) cresce al di fuori della cavità uterina, ad esempio su ovaie, tube o peritoneo.
Questo tessuto risponde agli ormoni del ciclo mestruale, causando infiammazione, aderenze e dolore pelvico persistente, oltre a possibili difficoltà nel concepimento.
Per molte donne l’endometriosi condiziona la vita quotidiana: il dolore mestruale può diventare invalidante, e i trattamenti tradizionali – dai contraccettivi ormonali ai progestinici – non sempre risultano efficaci o ben tollerati.
Negli ultimi anni però la ricerca ha introdotto nuove soluzioni terapeutiche più mirate, come Ryeqo.
Cos’è Ryeqo
Ryeqo è una compressa orale a dose fissa che combina tre principi attivi:
Relugolix – un antagonista del recettore del GnRH che riduce temporaneamente la produzione di estrogeni e progesterone;
Estradiolo – un estrogeno naturale che mantiene livelli ormonali minimi per proteggere ossa e benessere generale;
Nomegestrolo acetato – un progestinico che aiuta a stabilizzare il bilancio ormonale e controllare la proliferazione del tessuto endometriosico.
Questa combinazione permette un controllo bilanciato degli ormoni, riducendo l’attività estrogenica in modo sufficiente a bloccare la crescita del tessuto endometriosico, ma senza indurre una menopausa farmacologica.
Come agisce Ryeqo sull’endometriosi
L’endometriosi è una malattia estrogeno-dipendente: gli estrogeni favoriscono la sopravvivenza e la crescita delle lesioni.
Ryeqo riduce i livelli di estrogeni fino a una soglia “terapeutica” (circa 30–50 pg/mL), sufficiente per:
limitare l’attività del tessuto endometriosico,
ridurre infiammazione e dolore pelvico,
preservare densità ossea e benessere generale.
Il risultato è una diminuzione graduale ma stabile dei sintomi nel tempo, senza gli effetti collaterali intensi dei farmaci più soppressivi.
Benefici clinici di Ryeqo
Gli studi clinici hanno mostrato che Ryeqo:
riduce il dolore mestruale e pelvico cronico;
migliora la qualità della vita e la funzionalità quotidiana;
diminuisce il ricorso ad analgesici;
mantiene buona salute ossea e cardiovascolare grazie all’aggiunta di estradiolo e nomegestrolo.
Molte pazienti riferiscono un miglioramento già dopo 1-2 mesi di terapia continua.
Tollerabilità e sicurezza
Ryeqo si assume una compressa al giorno, senza necessità di iniezioni o pause.
Gli effetti collaterali più comuni sono lievi e temporanei: vampate di calore, spotting, mal di testa o variazioni del ciclo nelle prime settimane.
Non deve essere usato in caso di:
gravidanza o allattamento;
trombosi venosa o arteriosa in atto;
patologie epatiche gravi.
Il trattamento va sempre prescritto e monitorato da un ginecologo, che ne valuta l’indicazione e la durata.
Per chi è indicato Ryeqo
Ryeqo rappresenta una valida opzione per:
donne con endometriosi sintomatica che desiderano una terapia orale efficace e ben tollerata;
pazienti che non possono o non vogliono sottoporsi a intervento chirurgico;
donne che non hanno ottenuto benefici da altre terapie ormonali.
Conclusione
Ryeqo segna un passo importante nella gestione dell’endometriosi: un trattamento moderno, orale, che riduce il dolore e migliora la qualità della vita senza compromettere l’equilibrio ormonale.
Ogni caso di endometriosi è unico, perciò la scelta terapeutica deve essere sempre personalizzata, in base ai sintomi, all’età e ai desideri riproduttivi della paziente.
Domande frequenti su Ryeqo
- Ryeqo è una terapia definitiva per l’endometriosi?
No. È una terapia sintomatica: controlla i sintomi e rallenta la progressione della malattia finché viene assunta.
- Ryeqo blocca completamente il ciclo?
Non sempre. In alcune donne può indurre amenorrea (assenza di mestruazioni), in altre solo una riduzione del flusso.
- Si può usare in chi desidera gravidanza?
No, perché l’effetto del farmaco è temporaneamente contraccettivo. Dopo la sospensione, la fertilità tende a riprendere gradualmente.
- Serve un controllo periodico?
Sì, lo specialista può richiedere monitoraggi clinici e, se necessario, esami del sangue o valutazioni ossee nel lungo periodo..
Dismenorrea in adolescenza: cause, sintomi e rimedi per il ciclo doloroso
Scopri cos’è la dismenorrea in adolescenza, le principali cause dei dolori mestruali forti e i rimedi più efficaci per un ciclo meno doloroso.
La dismenorrea in adolescenza è una condizione molto comune, ma spesso sottovalutata. Molte ragazze nei primi anni dopo il menarca riferiscono dolori mestruali forti che interferiscono con la vita quotidiana. Pur essendo frequente, il ciclo mestruale doloroso non va considerato “normale” o inevitabile: rappresenta invece un segnale da ascoltare e valutare con attenzione.
Dal punto di vista medico, si distinguono due forme di dismenorrea: la dismenorrea primaria, che non è legata a patologie ginecologiche, e la dismenorrea secondaria, che può invece essere dovuta a condizioni come l’endometriosi, l’adenomiosi, le malformazioni uterine o altre cause organiche. La forma primaria è tipica delle adolescenti e compare solitamente entro uno o due anni dal menarca.
Il dolore mestruale è provocato da un’eccessiva produzione di prostaglandine, sostanze che determinano diverse attività nel nostro corpo come contrazioni uterine più intense ed in generale dolore pelvico cronico. Questo meccanismo provoca crampi pelvici di varia intensità, spesso associati a nausea, mal di testa, stanchezza o disturbi intestinali. Nella maggior parte dei casi il dolore compare poche ore prima del flusso e si attenua entro due o tre giorni.
È importante non ignorare un dolore che si ripete ogni mese, peggiora col tempo o non risponde ai comuni analgesici. In questi casi è opportuno rivolgersi al ginecologo specialista in dolore pelvico cronico per escludere una dismenorrea secondaria, come quella causata da endometriosi in età adolescenziale, condizione oggi riconosciuta sempre più spesso anche nelle giovanissime. Una diagnosi precoce è fondamentale per trattare efficacemente la malattia e prevenire conseguenze future sulla fertilità e sulla qualità di vita.
La terapia della dismenorrea va sempre personalizzata. Nelle forme lievi o moderate, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) rappresentano il trattamento di prima scelta, soprattutto se assunti all’esordio dei sintomi. Quando il dolore è più intenso o recidivante, può essere indicata una terapia ormonale che regola il ciclo e riduce la produzione di prostaglandine. Anche lo stile di vita gioca un ruolo importante: attività fisica regolare, dieta equilibrata, sonno adeguato e riduzione dello stress contribuiscono a migliorare la tolleranza al dolore e l’equilibrio ormonale.
La dismenorrea non deve mai essere considerata un destino inevitabile. Parlarne apertamente con un ginecologo esperto permette di individuare la causa, impostare la terapia più adatta e aiutare le adolescenti a vivere il ciclo mestruale con maggiore consapevolezza e serenità. Riconoscere e trattare precocemente la dismenorrea adolescenziale significa anche prevenire la cronicizzazione del dolore e migliorare il benessere futuro della donna.
Endometriosi e alimentazione: cosa possiamo davvero fare a tavola
Sempre più spesso si parla di alimentazione come possibile alleata per chi soffre di endometriosi. Non esistono diete miracolose, ma è ormai chiaro che quello che mangiamo può influenzare il modo in cui il corpo reagisce all’infiammazione e al dolore.
L’endometriosi è una malattia complessa che provoca dolore, infiammazione cronica e spesso difficoltà legate alla fertilità. È una condizione che coinvolge tutto l’organismo, e per questo anche lo stile di vita e l’alimentazione possono avere un ruolo nel migliorare il benessere generale.
Molte ricerche suggeriscono che un’alimentazione “anti-infiammatoria” possa aiutare a ridurre alcuni sintomi. Cosa significa in concreto? Privilegiare cibi freschi, ricchi di antiossidanti e grassi buoni — come frutta, verdura, pesce azzurro, noci, semi e olio extravergine d’oliva — e ridurre invece zuccheri raffinati, cibi industriali e grassi saturi.
Un’altra attenzione utile riguarda il consumo di carne rossa e latticini, che in alcune donne possono accentuare i disturbi. Invece, aumentare il consumo di cereali integrali e legumi può migliorare la regolarità intestinale e contribuire al controllo dell’infiammazione.
Molte pazienti trovano beneficio anche riducendo il glutine o gli alimenti che favoriscono gonfiore e fermentazione intestinale, ma ogni corpo reagisce in modo diverso: per questo è importante evitare estremismi e farsi guidare da un professionista della nutrizione.
Non si tratta quindi di “curare” l’endometriosi con la dieta, ma di sostenere il corpo, ridurre l’infiammazione e migliorare la qualità della vita. Un’alimentazione equilibrata, insieme alle terapie mediche e a un adeguato supporto psicologico, può davvero fare la differenza nel lungo periodo.
In fondo, prendersi cura di sé parte anche da gesti quotidiani semplici — come scegliere cosa mettere nel piatto, con consapevolezza e gentilezza verso il proprio corpo.
HPV test, un piccolo controllo per una grande protezione
Il tumore del collo dell’utero, purtroppo, è ancora oggi una delle forme di tumore più diffuse tra le donne, ma la buona notizia è che, se diagnosticato in tempo, può essere prevenuto o trattato con grande successo. La parola chiave qui è screening: controlli regolari che ci permettono di individuare eventuali alterazioni prima che diventino un problema serio.
Ma cosa significa realmente fare uno screening? Per le donne, gli strumenti principali sono due: il Pap test e l’HPV test. Il Pap test, conosciuto anche come striscio cervicale, serve a rilevare cellule anomale nel collo dell’utero, mentre l’HPV test individua la presenza del virus HPV ad alto rischio, principale responsabile dello sviluppo di questo tipo di tumore. Negli ultimi anni, le linee guida hanno spostato l’attenzione sempre più sull’HPV test come metodo di screening primario, soprattutto nelle donne dai 30 anni in su, perché permette di identificare il rischio con maggiore precisione.
Lo screening non è solo un esame: è un gesto di cura verso se stesse. La frequenza consigliata varia in base all’età e ai risultati degli esami precedenti, ma in generale si consiglia alle donne dai 25 anni in su di sottoporsi a controlli regolari, anche se non si hanno sintomi. Questo perché il tumore del collo dell’utero può svilupparsi silenziosamente, senza dare segnali evidenti.
La frequenza del HPV test dipende dall’età della donna e dai risultati dei controlli precedenti. Ecco le linee guida più aggiornate, valide in Italia e in gran parte dei paesi europei:
Donne 25-29 anni:
Lo screening primario resta generalmente il Pap test ogni 3 anni.
L’HPV test può essere considerato in casi particolari, ma di solito non è il primo strumento in questa fascia d’età.
Donne 30-64 anni:
L’HPV test è lo screening principale, con Pap test come test riflesso se l’HPV risulta positivo.
La frequenza consigliata è ogni 5 anni se l’HPV è negativo.
Dopo i 65 anni:
Se gli screening precedenti erano regolari e negativi, di solito non è necessario continuare.
In caso di risultati anomali passati, può essere consigliata la prosecuzione.
Molte donne si chiedono se sia doloroso o invasivo. In realtà, il Pap test e l’HPV test sono esami rapidi, eseguiti in pochi minuti, e spesso il fastidio è minimo. Il vero fastidio sarebbe dover affrontare una malattia che si sarebbe potuta prevenire.
Infine, è importante ricordare che lo screening è efficace solo se fatto regolarmente e combinato con altre misure di prevenzione, come la vaccinazione contro l’HPV, che protegge le ragazze e i ragazzi ancora prima dell’inizio dell’attività sessuale.
La chirurgia V-NOTES: meno cicatrici e meno dolore
Negli ultimi anni la chirurgia ginecologica ha fatto passi enormi verso interventi sempre meno invasivi e più rispettosi del corpo femminile. Tra le innovazioni più interessanti c’è la chirurgia V-NOTES, una tecnica che unisce i vantaggi della laparoscopia e dell’approccio vaginale, permettendo di operare senza tagli sull’addome.
V-NOTES significa Vaginal Natural Orifice Transluminal Endoscopic Surgery e indica una modalità chirurgica che sfrutta una via naturale, la vagina, per accedere alla cavità addominale utilizzando strumenti laparoscopici di ultima generazione. In questo modo il chirurgo può lavorare con una visione ad alta definizione e con la stessa precisione della laparoscopia tradizionale, ma senza dover praticare incisioni visibili sulla pelle.
Per la paziente questo si traduce in un recupero più rapido, in meno dolore dopo l’intervento e nell’assenza di cicatrici addominali. Il rischio di infezioni e di aderenze è ridotto e il ritorno alle attività quotidiane avviene in tempi molto brevi. È un approccio che unisce efficacia e delicatezza, ideale per molte donne che desiderano un intervento meno traumatico e più rispettoso del proprio corpo.
La tecnica V-NOTES può essere utilizzata per diversi tipi di interventi, come l’asportazione dell’utero, di cisti ovariche o delle tube, oppure per la correzione di alcune forme di prolasso. Ovviamente ogni situazione va valutata con attenzione e l’indicazione viene sempre personalizzata in base alle caratteristiche della paziente e alla sua storia clinica.
La chirurgia mini-invasiva non è solo una questione di tecnologia ma anche di filosofia: è un modo nuovo di prendersi cura della salute femminile, riducendo il trauma e migliorando il benessere globale della donna. Meno dolore e recupero post-operatorio più veloce.
A cura del dott. Stefano Scarperi, ginecologo a Verona, esperto in chirurgia mini-invasiva e robotica.
Radiofrequenza un trattamento moderno per fibromi e adenomiosi
Ci sono donne che convivono per anni con dolori, flussi abbondanti e quella sensazione di peso al basso ventre che non dà tregua. Spesso dietro questi disturbi si nascondono fibromi o adenomiosi, due condizioni molto diffuse che fino a poco tempo fa richiedevano quasi sempre interventi chirurgici più o meno invasivi. Oggi però esiste una possibilità diversa, più delicata e rispettosa del corpo: la termoablazione a radiofrequenza.
La radiofrequenza è una tecnologia che utilizza il calore per ridurre il tessuto malato. Attraverso un sottile ago, guidato da ecografia o laparoscopia, si raggiunge in modo preciso il fibroma o l’area di adenomiosi. Lì viene emessa una piccola quantità di energia termica che in pratica “disattiva” la lesione dall’interno, permettendole nel tempo di ridursi di volume. È un trattamento mirato, che colpisce solo ciò che serve, lasciando intatti i tessuti sani e senza dover ricorrere a tagli o rimozioni estese.
L’intervento è rapido e poco doloroso che richiede un ricovero di un giorno. La paziente al rientro a casa nel giro di pochi giorni, può riprendere le sue attività abituali. Non ci sono cicatrici visibili, il recupero è dolce e i sintomi migliorano progressivamente nelle settimane successive.
Per molte donne la radiofrequenza rappresenta un cambiamento importante. Permette di preservare l’utero, evitare interventi più impegnativi come l’isterectomia. È un modo diverso di curare, più rispettoso, che unisce la precisione della tecnologia all’attenzione per il benessere femminile.
La medicina moderna sta andando sempre più in questa direzione: trattamenti efficaci ma conservativi, capaci di risolvere il problema senza in maniera mini-invasiva. La radiofrequenza è uno di questi passi avanti, e per molte donne può diventare la chiave per ridurre i sintomi legati ai fibromi o all’adenomiosi.
Endometriosi e progesterone
Quando si parla di endometriosi si entra in un mondo complesso e spesso doloroso che riguarda moltissime donne. Questa malattia cronica si verifica quando il tessuto simile all’endometrio, cioè quello che riveste l’interno dell’utero, cresce in sedi anomale come ovaie, tube o peritoneo. Il risultato è infiammazione, dolore, talvolta difficoltà a concepire e, soprattutto, un impatto sulla qualità della vita.
Tra le possibili strategie di cura un ruolo importante lo hanno i farmaci a base di progestinici. Questi ormoni, che imitano l’azione del progesterone naturale, lavorano rallentando la crescita del tessuto endometriosico e riducendo l’infiammazione. In parole semplici, mettono i focolai della malattia in una sorta di “riposo ormonale”, alleviando i sintomi e diminuendo il dolore.
La terapia progestinica può essere assunta principalmente in diverse forme: compresse oppuredispositivi intrauterini medicati. La scelta dipende dal tipo di endometriosi, dalla storia clinica della donna e anche dalle sue preferenze. Non si tratta di una cura definitiva – perché ad oggi l’endometriosi non ha una guarigione certa – ma di un approccio che può rendere la vita molto più gestibile.
Molte donne trovano beneficio già dopo pochi mesi, anche se ogni organismo risponde in maniera diversa. Come tutti i farmaci, i progestinici possono avere effetti collaterali, come spotting, ritenzione idrica o cambiamenti dell’umore, che però non colpiscono tutte e che spesso tendono ad attenuarsi nel tempo.
L’aspetto più importante è che la terapia non va vista come una regola unica e valida per tutte, ma come parte di un percorso personalizzato che deve tenere conto della singola donna, dei suoi sintomi, dei suoi progetti di vita e del suo desiderio di gravidanza. Parlare con il proprio ginecologo, chiarire dubbi e trovare insieme la strategia migliore è sempre il primo passo.
Quando il ciclo non è solo ciclo: parliamo di endometriosi
L’endometriosi è una di quelle condizioni che tante donne conoscono, spesso sulla propria pelle, ma di cui ancora si parla troppo poco. In parole semplici, succede quando il tessuto che normalmente dovrebbe trovarsi solo all’interno dell’utero cresce in altre sedi, come le ovaie, le tube, l’intestino, la vescica ed il peritoneo cioè la membrana che riveste gli organi del bacino. Questo tessuto, pur essendo “fuori posto”, continua a comportarsi come farebbe durante il ciclo: si ispessisce, sanguina e scatena infiammazione.
Il risultato? Dolori mestruali molto forti, dolore durante i rapporti, fastidi pelvici che possono durare anche tutto il mese, difficoltà nella ricerca di una gravidanza. Ci sono donne che convivono con disturbi lievi e altre per cui i sintomi diventano davvero invalidanti, tanto da influenzare il lavoro, la vita sociale e la serenità quotidiana.
Le cause precise non sono ancora del tutto chiare: sappiamo che c’è una componente ormonale e probabilmente anche genetica, e che l’endometriosi non è affatto rara. Colpisce donne giovani e adulte, spesso proprio nel pieno della loro vita personale, di formazione scolastica e professionale.
Arrivare alla diagnosi può richiedere tempo, perché i sintomi a volte vengono confusi con un ciclo “semplicemente doloroso” o con altri disturbi intestinali e urinari. Oggi però disponiamo di strumenti molto utili, a partire dall’ecografia ginecologica fatta da mani esperte, che permette di riconoscere le forme più tipiche. In alcuni casi si ricorre alla risonanza magnetica o, se serve, alla laparoscopia, che è anche un’opzione terapeutica.
Le possibilità di trattamento sono diverse e vanno calibrate in base all’età, ai desideri di gravidanza e all’intensità dei sintomi. Ci sono terapie mediche che aiutano a controllare dolore e progressione della malattia, dispositivi ormonali, ma anche tecniche chirurgiche mini-invasive come la chirurgia laparoscopica e robotica pensate per rimuovere le lesioni mantenendo quanto più possibile la fertilità.
Vivere con l’endometriosi può essere una sfida, ma non significa rassegnarsi a soffrire. La diagnosi precoce e la cura personalizzata fanno davvero la differenza. Raccontare i propri sintomi senza paura, cercare ascolto e affidarsi a un ginecologo che conosca bene la malattia sono i primi passi per ritrovare benessere e serenità.
Un fibroma non fa paura…
I fibromi uterini sono molto più comuni di quanto si immagini e spesso vengono scoperti per caso durante un’ecografia di controllo e la prima reazione è quasi sempre la stessa cioè chiedersi se bisogna preoccuparsi. Nella maggior parte dei casi la risposta è no perché i fibromi sono formazioni benigne che crescono all’interno o all’esterno dell’utero e non hanno nulla a che vedere con i tumori maligni. Anche se la parola può spaventare non esiste una causa precisa ma sappiamo che la loro crescita è legata agli ormoni femminili ed è per questo che tendono a svilupparsi negli anni fertili e spesso si riducono spontaneamente dopo la menopausa. Non tutti i fibromi sono uguali perché alcuni crescono dentro la cavità uterina e possono provocare sanguinamenti abbondanti o difficoltà a concepire altri si sviluppano nello spessore della parete dell’utero dando più che altro disturbi legati al volume e altri ancora rimangono all’esterno senza quasi farsi notare. Molti fibromi restano silenziosi mentre altri possono farsi sentire con cicli mestruali molto abbondanti e prolungati anemia stanchezza dolori o senso di peso al basso ventre, pancia gonfia, disturbi urinari o intestinali o difficoltà legate alla gravidanza o al concepimento. La diagnosi si esegue solitamente con un’ecografia ginecologica che è semplice e indolore e solo in alcuni casi particolari serve una risonanza magnetica. Una volta scoperto un fibroma non esiste un percorso unico perché dipende dall’età dai sintomi dal desiderio di gravidanza e dalla sua dimensione. A volte basta solo controllarlo nel tempo altre volte si possono usare farmaci che aiutano a ridurre i disturbi e quando serve si può valutare un intervento chirurgico che oggi nella maggior parte dei casi è mini invasivo e con recupero rapido. Avere un fibroma non significa dover affrontare per forza un intervento né avere qualcosa di grave ma è una condizione molto diffusa che si può affrontare con serenità. La cosa più importante è parlarne con il proprio ginecologo per trovare insieme la soluzione più adatta alla propria storia
Adenomiosi: quando l’utero “parla” attraverso i sintomi.
L’adenomiosi è una condizione di cui spesso si parla poco, ma che può avere un impatto molto concreto sulla vita quotidiana. Si tratta di una situazione in cui il tessuto che normalmente riveste l’interno dell’utero, l’endometrio, si sviluppa anche all’interno della parete muscolare dell’utero stesso. Questo fa sì che l’utero possa diventare più grande e che compaiano disturbi che non è raro confondere con altri problemi ginecologici.
Molte donne convivono con l’adenomiosi senza saperlo, perché i sintomi non sempre sono evidenti. In altri casi, invece, il dolore mestruale è molto intenso, le mestruazioni diventano abbondanti, compare un senso di pesantezza pelvica o dolori che durano anche al di fuori del ciclo. A volte i rapporti sessuali risultano fastidiosi o dolorosi e può capitare che la ricerca di una gravidanza richieda più tempo del previsto.
Le cause precise non sono ancora del tutto note, ma sappiamo che l’adenomiosi è più frequente nelle donne in età compresa tra i 35 e i 50 anni.. Gli ormoni femminili, in particolare gli estrogeni, sembrano giocare un ruolo importante nello sviluppo di questa condizione.
La diagnosi inizia sempre dall’ascolto dei sintomi e da una visita ginecologica accurata. Oggi l’ecografia transvaginale è l’esame di riferimento per riconoscerla e, nei casi in cui servano ulteriori conferme, la risonanza magnetica può dare informazioni aggiuntive.
Una volta fatta la diagnosi, il percorso di cura viene costruito su misura. Non esiste una soluzione unica per tutte: molto dipende dall’intensità dei sintomi, dall’età e dal desiderio di maternità. Ci sono terapie farmacologiche che aiutano a ridurre il dolore e il flusso mestruale, dispositivi intrauterini a rilascio di progesterone che possono essere molto utili, trattamenti mini-invasivi come la termoablazione mediante radiofrequenza (RFA) o gli ultrasuoni focalizzati (MRgFUS) e, nei casi più complessi, interventi chirurgici che vanno da quelli conservativi fino all’asportazione dell’utero, scelta che viene proposta solo a chi ha già completato il proprio progetto riproduttivo.
Con l’approccio giusto, però, è possibile convivere bene con l’adenomiosi e migliorare significativamente la qualità della vita. Per questo è importante non trascurare i sintomi e rivolgersi a un ginecologo di fiducia, che sappia accompagnare passo dopo passo nella gestione di questa condizione.
Progetto “SavetheUterus”
Tutto inizia con un'idea.
Ti illustro il progetto “SavetheUterus” per le pazienti affette da fibromi uterini ed adenomiosi. Questo progetto nasce dall’impegno di dotarsi all’interno della Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona di tutte le tecnologie attualmente esistenti per il trattamento ultramini-invasivo dei fibromi e lo sviluppo delle relative competenze per utilizzarle: MRgFUS (ablazione mediante l’uso di ultrasuoni sotto guida della risonanza magnetica), termoablazione mediante radiofrequenze e microonde, embolizzazione delle arterie uterine oltre che asportazione chirurgica laparoscopica dei fibromi uterini.
L’ultima arrivata è la “MRgFUS” una tecnica che usa gli ultrasuoni: questi vengono indirizzati direttamente nella zona da trattare con una precisione al decimo di millimetro. L’intervento viene eseguito in paziente sveglia sotto la guida della risonanza magnetica non produce cicatrici e non richiede ospedalizzazione. Gli ultrasuoni “bombardano” i fibromi uterini e ne inducono la necrosi, cioè la morte dei tessuti, che avviene nell’arco di un paio di mesi.
La termoablazione mediante radiofrequenza “RFA” si base sull’inserimento sotto visione laparoscopica (due o tre incisioni di 5 millimetri sulla cute dell’addome) di un ago all’interno del fibroma in grado di aumentare la temperatura del tessuto da trattare con precisione a 98° per un tempo di pochi minuti. Anche in questo caso il danno termico prodotto determina una graduale trasformazione in tessuto fibroso inerte dal punto di vista biologico.
Infine l’embolizzazione delle arterie uterine (EAU) è una procedura chirurgica minimamente invasiva che viene utilizzata per trattare sia gli uteri di volume aumentato per fibromatosi o adenomiosi. L’embolizzazione delle arterie uterine ha lo scopo di bloccare il flusso sanguigno all’interno dei vasi che portano sangue all’utero riducendo quindi il volume ed i sintomi dell’adenomiosi. Viene effettuata da un radiologo interventista dedicato che opera consultandosi con il ginecologo. L’intervento si esegue in anestesia locale eseguita a livello inguinale per permettere l’introduzione di un microcatetere (un tubicino del calibro di un ago da puntura intramuscolare) che viene fatto avanzare fino alle arterie uterine sotto controllo radiografico.
Ovviamente nei casi non candidabili per le tecniche descritte in precedenza l’asportazione chirurgica dei fibromi viene eseguita generalmente per via laparoscopica attraverso accessi da 5 mm sulla cute.